Madre

La Qualità degli oggetti, degli spazi, dell’ambiente e delle relazioni è la vera cartina di tornasole della qualità reale della nostra città. La bellezza si deve percepire in ogni azione sia nelle relazioni che negli interventi piccoli o grandi su tutto il tessuto urbano. La bellezza e la qualità si misurano nei dettagli delle cose, nelle sfumature delle parole, nell’armonia delle scelte ambientali, nel rispetto della forma antica della città,  della tutela del paesaggio e nel segno contemporaneo delle nuove realtà urbane.”

        MILENA NALDI

A PROPOSITO DI “MADRE”.

La scultura di Guy Lydster ai Giardini Margherita.

            Dal mese di agosto, ai Giardini Margherita, sul verde del prato che lambisce il laghetto verso l’ingresso di porta Castiglione, fa bella mostra di sé una grande scultura in pietra serena, dalla superfice brunita e finemente lavorata, che si presenta col titolo di “Madre”. È opera di Guy Lydster, un artista “multinazionale”, oltre che un docente Unibo, residente da tempo a Bologna ma nato agli antipodi, in Nuova Zelanda. I suoi trascorsi artistici, di studio e professionali, sono stati a Vancouver, nel Canada della costa Pacifica, ma anche negli Stati Uniti ed altrove. Il suo italiano è perfetto mentre il suo inglese sincretico, direi da Commonwealth britannico, gli permette di scrivere i suoi straordinari componimenti poetici.

            Guy ama trascorrere gran parte del suo tempo in certi antri magici dove realizza le sue sculture. Si trovano in serre in disuso che paiono abbondare nella periferia bolognese. Nessuno è ammesso in tali antri neanche Paolo Quartapelle, validissimo artista multimediale e presidente dell’associazione culturale “Il Campone”. Eppure lui è da tempo un infaticabile sostenitore promotore e facilitatore dell’attività artistica di Guy. Un vero “front-man” che, con la sua determinazione, gli rende possibile essere uno dei pochi interpreti a Bologna di un movimento per un’arte pubblica, contemporanea e indipendente. Ê anche grazie all’impegno di Paolo Quartapelle e alla sua capacità di risolvere rompicapi burocratici che “Madre” è riuscita a posarsi sull’erba dei Giardini Margherita.  Guy invece è un tipo riservato e piuttosto schivo, di sè preferisce far parlare la sua arte. L’unica che sa tutto di lui è Licia Catapano. È sua moglie ed è una solida sostenitrice delle erculee e molto private fatiche artistiche del marito. Se si vuole sapere di più di Guy, forse basta chiedere a lei; è sicuramente una musa imparziale.

            Da un paio d’anni, dopo averlo conosciuto personalmente, considero Guy Lydster anche un amico e ora apprezzo moltissimo anche altre espressioni della sua arte, come i suoi componimenti poetici o i suoi disegni. Quando però, cinque anni fa, mi sono trasferito a Bologna, prima di conoscere lui ho conosciuto, per caso e per strada, le sue sculture di grandi dimensioni che si trovavano esposte in spazi pubblici di Bologna. Una,  “Big Wide Eye” , o come diremmo in italiano “il grande occhio spalancato”, si trova ora in centro, in Via IV Novembre e un’altra, “Il Bacio”, è in uno dei campus dell’Alma Mater, in Via Filippo Re. Pare ci fossero “in giro” per Bologna altre sue sculture ma al momento non si sa bene dove siano custodite. 

            Come mi sono piaciute quelle opere, che mi hanno subito intrigato, così ai Giardini Margherita sono immediatamente rimasto colpito da questa ricca e suggestiva metafora scultorea che Guy ha battezzato “Madre”. Viene spontaneo pensare che deve averla creata per rammentarci un principio originario comune che ci unisce tutti ed è sotteso ad ogni nostra umana relazione. Ma, ancora una volta, ciò che più mi sorprende di “Madre”, come delle altre sue sculture, è l’inopinata, quasi sfacciata, sistemazione in un luogo pubblico molto frequentato della città. Senza pretese celebrative o commemorative, che sono di norma il piedestallo retorico di molte sculture cittadine, le opere di Lydster possiedono, grazie al loro materializzarsi silenzioso su uno dei nostri percorsi abitudinari, un’inusuale qualità per la città di Bologna: quella di essere delle opere d’arte contemporanea che vanno incontro al proprio pubblico. Invece di un saluto sembrano offrirci uno specchio per i nostri pensieri e proporsi come fulcro per un eventuale momento di meditazione.  Le ingiurie delle intemperie o dei vandali, che purtroppo le minacciano, non mancano di turbare il sonno del loro autore. Così lo troverete spesso impegnato in un meticoloso restauro continuo delle sue opere, tuttavia è sempre pronto a defilarsi perché sa che è proprio la loro accessibilità che può attrarre gli sguardi non di circostanza dei passanti, prima casuali poi curiosi ed infine analitici.  Ecco io spero che quegli sguardi lo ricompensino delle sue fatiche. Certamente alimentano le diverse interpretazioni che i passanti danno alle sue sculture, e permettono un’esperienza estetica vitale e concreta a chi è magari “in tutt’altre faccende affaccendato”.

            Forse è necessario riflettere sull’impegno reiterato di Guy Lydster a mettere liberamente a disposizione di tutti, in alcuni luoghi pubblici della città, le sue opere e le sue sculture. Forse Guy ama Bologna, e chi ci abita, con la generosità tipica di molti artisti sinceri e visionari. Vuole condividere con noi le sue creazioni e dotare alcuni luoghi dove ci può capitare di passare di accresciute sollecitazioni emotive e spirituali. Guy è naturalmente ben conscio del rischio che comporta lasciare le sue opere indifese davanti magari all’incomprensione o agli sgarbi che possono sollecitare nei caratteri superficiali o malintenzionati, ma è pronto impavidamente ad affrontare sempre tutto. Non è interessato ad una “sacralizzazione” della sua arte; a meno che non sorga spontanea e “per motivi personali” nell’animo degli osservatori. E naturalmente è anche pronto a sottomettere le sue proposte di installazioni artistiche negli spazi pubblici bolognesi alle necessarie approvazioni da parte dei vari uffici che esistono per proteggere, con forza e a volte stolida risolutezza, qualsiasi modifica o intervento sul nostro ambiente metropolitano. Una protezione, sia detto per inciso, più che comprensibile, ma che a volte purtroppo sembra latitare soprattutto quando servirebbe veramente davanti a deprimenti brutture senza giustificazioni o quando, stranamente, ignora  gli orrendi sgorbi e scarabocchi che offendono impunemente i muri di tutta la città

            Grazie ad un’originale visione artistica, la collocazione pubblica delle sue sculture stabilisce invece con i luoghi che ci sono familiari  e con le persone che li frequentano un rapporto speciale, addirittura interattivo, grazie al quale l’insieme che ne risulta, espressione artistica e quotidianità, improvvisamente acquisisce una dimensione unica ed affascinante. Le sue opere ci costringono a vedere e  a ragionare su ciò che normalmente guardiamo distrattamente quando siamo “per strada” , incluse naturalmente anche le persone. E guardandole, magari con un sorriso in viso e quell’attitudine più disponibile al confronto suscitata dalla sua arte, rendiamo l’anonima consuetudine del camminare per strada straordinaria ed importante.

            Le sculture di Guy Lydster appartengono ad un tipo di arte che si esprime non solo con la scultura e che si manifesta in disparate forme di arte pubblica in tante grandi città nel mondo. Penso ai migliori esempi di graffiti e murales che, oltre ad esprimere le preoccupazioni sociali e politiche dei loro autori, hanno dato dignità artistica ad anonimi muri scrostati in varie parti del mondo.  Penso alla Land Art, quei ciclopici interventi artistici memorabili su edifici o paesaggi come quelli di Christo e sua moglie Jeanne o anche al Cretto con cui Alberto Buri ha coperto le rovine di Gibellina in Sicilia. Interventi che hanno imposto tra l’altro una necessaria riflessione sul nostro rapporto con l’ambiente, sia naturale che cittadino che molti tra noi danno per scontato. Penso anche a forme di arte pubblica realizzate in cooperazione con i loro fruitori, di cui a Bologna offrono degli esempi ripetuti le meritorie attività dei “Cantieri Meticci”. Penso certamente alla  dispendiosa arte commissionata per tanti luoghi pubblici soprattutto americani, come a Chicago, Los Angeles o New York, di cui a Bologna possono essere ammirati tre grandi esempi iconici custoditi, o meglio reclusi, nei giardini periferici della Fondazione MAST. Un’istituzione privata che ha avuto il grande merito, tra gli altri, di offrire alla nostra città il godimento di esempi significativi di opere di Amish Kapoor, di Mark Di Suvero o di Richard Indiana.

            L’offerta di Guy Lydster è una sua libera iniziativa personale ed è pensata proprio per noi, qui a Bologna dove la musica, il cinema e molte altre forme d’arte hanno già da tempo manifestazioni gratuite aperte a tutta la cittadinanza e sostenute da investimenti pubblici. Io credo quindi che lo si debba ringraziare per aver da anni tentato di convincerci, sostanzialmente “in solitaria”, dell’utilità  e dell’importanza di un’offerta di sculture  di qualità al di fuori di luoghi privati o chiusi,  al di fuori dunque di musei, chiese o palazzi, che inevitabilmente ne limitano o ne condizionano la fruizione. In una città che sembra aver perso confidenza con l’arte contemporanea, non condividendone appieno i concetti semplici ma potenti, Guy Lydster vuole smuovere l’opinione pubblica e abituarla ad aspettarsi di più dal panorama urbano grazie alla forza delle sue proposte artistiche e di quelle, si spera, di altri artisti che potrebbero imitarlo. Tutti abbiamo da guadagnarci a sostenere la sua azione individuale ma lungimirante a favore di una città ancora più bella perché aperta all’arte contemporanea “all’aperto” ed in  luoghi pubblici.

            L’arte pubblica apparirebbe infatti come un lusso aggiuntivo che incrementa gli altri lussi “pubblici” a cui tutti i cittadini consapevoli e responsabili dovrebbero aspirare a Bologna, e spingere i loro rappresentanti politici a realizzare: servizi funzionanti e rapidi, strade, piazze e portici confortevoli e ben tenuti, pulizia e decoro di tutto l’ambiente cittadino, luoghi per un intrattenimento sereno e accessibile, occasioni frequenti per una tranquilla convivenza o un civile confronto.

            L’arte contemporanea per le strade della città rientrerebbe cioè  in un  “profitto di cittadinanza”, in cui io credo. Un vantaggio che la vita a Bologna dovrebbe offrire ai suoi cittadini rendendo profittevole alla loro spiritualità, non solo alla loro materialità, vivere in questa città. Tra l’altro questo  “profitto di cittadinanza” sarebbe un lusso che si  può offrire generosamente anche ai visitatori che giungono in città e che potrebbero trovare occasioni e motivi per trattenersi più a lungo. A tutti coloro che ancora non conoscono Bologna di persona una tale offerta  potrebbe fornire con la sua originalità una ragione ulteriore per venirci. Basterebbe che alcuni spazi pubblici, adeguatamente normati, diventassero luoghi destinati ad ospitare opere d’arte dei migliori artisti.

            Parchi, giardini, piazze, i luoghi adatti ad accogliere sculture contemporanee a Bologna  certamente non mancano e la loro fama potrebbe rapidamente diffondersi ben oltre i confini cittadini. Anche sulla base dell’esperienza di Guy, si potrebbe superare ogni controversia impropria sull’uso della proprietà pubblica, ogni problema legato a danni e vandalismi che purtroppo possono punire la fragilità indifesa delle opere e soprattutto incentivare, per il bene comune, l’accettazione tra il pubblico delle questioni e delle sollecitazioni che l’originalità delle opere d’arte contemporanea ci pongono. Il sostegno alle proposte di artisti come Guy Lydster ci impegna, come io credo sia giusto, ad ottenere che la bellezza di Bologna, nelle sue componenti pubbliche e private,  non debba essere mantenuta solo con il restauro e la conservazione dei beni artistici ed architettonici di una città antica. Una tale bellezza dovrebbe essere costantemente perseguita anche e soprattutto con i contributi artistici e creativi importantissimi della contemporaneità.

            In fondo Guy Lydster, anche con la sua ultima scultura “Madre”,  aiuta a liberare noi stessi e questa città, così ricca di testimonianze di un monumentale passato, da qualsiasi rischio di decadenza, che spesso il nostro presente ci fa sembrare ineludibile, e ad indicarci semplicemente una via “materna”, che effettivamente è sempre aperta verso il futuro: quella del costante rinascimento culturale e civile oltre che artistico.

Martin Stiglio

16/10/2020